Negli ultimi 14 anni in Italia 684 allagamenti, 86 frane, 166 esondazioni fluviali.
Sono dati al 30 novembre 2023, la percezione è che, invece, eventi come questi siano piuttosto rari. In realtà, evidenziano una situazione che non può più né essere sottovalutata, né risolta con l’ennesimo scongiuro.
Emergenza climatica
Gli effetti sempre più violenti dell’emergenza climatica, più volte descritti nei documenti degli scienziati dell’IPCC per supportare le politiche delle Nazioni Unite, sono ormai tangibili anche in Italia. Secondo il “Rapporto Città Clima 2023 Speciale Alluvioni” realizzato da Legambiente, dal 2010 al 31 ottobre 2023, sono stati registrati 684 allagamenti da piogge intense, 166 esondazioni fluviali e 86 frane da piogge intense, che rappresentano il 49,1% degli eventi totali registrati.
L’intensificazione degli eventi estremi, insomma, è ormai più che evidente e dobbiamo fare in fretta. In questi 14 anni, le regioni più colpite per allagamenti da piogge intense sono state: la Sicilia, con 86 casi, seguita da Lazio (72), Lombardia (66), Emilia-Romagna (59), Campania e Puglia (entrambe con 49 eventi), Toscana (48). Per le esondazioni fluviali al primo posto c’è la Lombardia con 30 casi, seguita dall’Emilia-Romagna con 25 e dalla Sicilia con 18 eventi. Va segnalato anche il numero di frane da piogge intense che hanno provocato danni in particolare in Lombardia (12), Liguria (11), Calabria e Sicilia (entrambe con 9 eventi).
Ad andare in sofferenza sono soprattutto le grandi città: in primis Roma, dove si sono verificati 49 allagamenti da piogge intense, Bari con 21, Agrigento, con 15, Palermo con 12, Ancona, Genova e Napoli con 10 casi. Per le esondazioni fluviali spicca Milano, con almeno 20 esondazioni dei fiumi Seveso e Lambro in questi anni, di cui l’ultima a fine ottobre; seguono Sciacca (AG) con 4, Genova e Senigallia (AN) con 3.
Il problema è che nessuno è al sicuro: le tempeste di vento colpiscono ovunque; la grandine flagella ogni territorio; le bombe d’acqua, se non balzano agli onori delle cronache, non conoscono oramai limiti; fiumi, torrenti e bacini sono ovunque in stato di stress e basta nulla per creare problemi. Non parliamo del problema terremoto: un paese fortemente sismico con un’espansione della zonazione a rischio sempre più importante.
Numeri non solo preoccupanti: forse di piena emergenza! Basti pensare che in Italia 1,3 milioni di persone vivono in aree definite a elevato rischio di frane e smottamenti e oltre 6,8 milioni di persone sono a rischio medio o alto di alluvione (dati Ispra). Dal punto di vista economico, ricorda Legambiente, il Paese ha speso dal 2013 al 2023, oltre 13,8 miliardi di euro in fondi per la gestione delle emergenze meteo-climatiche (dati Protezione civile). 11,2 milioni vivono in zone sismiche.
Le drammatiche emergenze registrate negli ultimi anni – nord Marche, Ischia, Romagna e da ultima l’alluvione in Toscana – devono far riflettere sul modello di gestione del territorio.
È il momento delle soluzioni
Non è solo un problema di risorse economiche, come spesso si vuole far credere, o di mancanze nella manutenzione ordinaria. Il problema principale sta nel voler rispondere alla logica della “messa in sicurezza” proponendo soluzioni, come l’innalzamento degli argini, che rendono sempre più fragile il territorio sulla base di calcoli e tempi di ritorno delle piene che la crisi climatica sta spazzando via più velocemente di quanto si pensasse. Un’emergenza, quella climatica, che in alcune aree del Paese, soprattutto nel meridione, aggrava una situazione di preesistente rischio causato da un abusivismo edilizio in aree già pericolose, raramente oggetto di demolizioni e rimasto colpevolmente impunito.
Ci sono cose, ovviamente, a cui debbono pensare i Governi, compresa l’approvazione in via definitiva del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici individuando le linee di finanziamento, stanziando adeguate risorse economiche (a oggi assenti) per attuare il Piano e approvare la legge sullo stop al consumo di suolo che il Paese aspetta da 11 anni. Occorre, poi, far rispettare il divieto di edificazione nelle aree a rischio idrogeologico e i vincoli già presenti, riaprire i fossi e i fiumi tombati nel passato, recuperare la permeabilità del suolo attraverso la diffusione di Sistemi di drenaggio sostenibile (SUDS) che sostituiscano l’asfalto e il cemento.
Superare, insomma, la logica dell’emergenza e degli interventi invasivi e non risolutivi.
Poi ci sono i cittadini, le persone: non si può supporre una riduzione delle imposte e, dall’altra parte un ‘aumento imponente di spesa pubblica per sistemare quanto sopra.
È evidente che le due cose non stanno insieme. Lo Stato ha azzerato la tassazione (imposta assicurativa) sulle coperture assicurative cosiddette “catastrofali”: quelle che tutelano, per capirci, da alluvioni, allagamenti, terremoti. Inoltre ha reso queste coperture detraibili.
Attendere, fare gli scongiuri o credere che i dati preoccupanti relativi al cambiamento siano solo allarmismo, non salverà la nostra abitazione dal disastro. Nessuno, almeno in tempi brevi, ci ridarà l’unico investimento su cui l’85% delle famiglie ha operato.
Diagnosi dei rischi
Non proteggere questo significa aver fatto solo una scommessa. E le scommesse, è noto, le vincono solo alcuni fortunati: di solito il banco.
Noi, da parte nostra, abbiamo messo a punto un progetto di diagnosi dei rischi: facciamo un’analisi assieme a voi; sempre assieme a voi discutiamo di cosa è meglio fare, spieghiamo cosa è possibile fare da soli e cosa è meglio trasferire; facciamo una valutazione economica di ciascun rischio che condividiamo con voi per poter avere le vostre specifiche soluzioni e non quelle “buone per tutte le tasche”.
Proprio perché non vogliamo “vendere” qualcosa, ma ragionare sulle possibili soluzioni del vostro specifico caso.